L’Almagesto, opera del celebre astronomo alessandrino Tolomeo, espone una completa teoria geometrica dei moti planetari.
Questa grande opera fu compilata nel II secolo d.C. con il nome di Sistemamatematico del mondo ed era basata sulle osservazioni e le idee diastronomi precedenti.
Alla base della costruzione di Tolomeo stanno le due antiche concezioni che la terra doveva stare immobile nel centro del mondo e che tutti i movimenti celesti dovevano essere dei moti circolari uniformi.
Poichè il Sole e la Luna non dimostrano una velocità angolare uniforme, Tolomeo non fa coincidere con la Terra il centro del circolo descritto dal Sole ma lo pone, secondo la concezione di Ipparco, esterno alla Terra in modo che quando il Sole è al punto P (perigeo) (fig. 1)
la sua velocità angolare a/T è massima e quando è in A (apogeo) essa è minima.
La linea AP è la linea degli absidi. Questo cerchio veniva chiamato eccentrico. Il rapporto CT/R (R raggio dell’orbita) era chiamato eccentricità dell’orbita e poteva essere calcolato facilmente mediante l’osservazione degli angoli a e b descritti dal Sole in prossimità del perigeo e dell’apogeo rispettivamente, in uno stesso tempo. L’arco doveva essere uguale nei due casi per la supposta uniformità del moto, quindi:
(TP/TA)=(r-c)/(r+c)=b/a, da cui l’elettricità e=c/r=(a-b)/(a+b)
Le osservazioni fornivano in questo modo e=0,036 e se Tolomeo avesse conosciuto le distanze TA e TP si sarebbe accorto che il valore dell’eccentricità ottenuto dalle misure è la metà di quello così calcolato e avrebbe con ciò compreso che il moto uniforme sul circolo non poteva essere esatto.
Per i cinque pianeti Tolomeo immagina che il moto sia la combinazione di due moti circolari. (fig. 2)
Sull’epiciclo il moto del pianeta R era supposto uniforme, ma per il centro dell’epiciclo C1, era necessario ammettere un moto variabile sul deferente.
Per mantenere il carattere di uniformità del moto egli dovette individuare un punto M detto equante che stava ancora oltre il centro del deferente.
Con questo sistema Tolomeo riusciva a spiegare sia qualitativamente che quantitativamente tutte le fasi del moto apparente e le sue formule servivano per le rappresentazioni delle posizioni osservate dei pianeti e per il calcolo di posizioni del passato e del futuro come oggi servono le formule dei moti kepleriani.
La teoria eliocentrica dovuta a Copernico con l’opera De revolutionibus orbium coelestium (1543) è basata su due concezioni.
1) Il moto di rotazione diurna del cielo è soltanto apparente e causato da una rotazione diurna della Terra sferica attorno ad un asse passante per il suo centro.
2) La Terra è pure un pianeta e circola come gli altri intorno al Sole.
Copernico mantiene l’assioma dei moti circolari uniformi.
L’obiezione principale a questo sistema derivò dal fatto che la Terra pur passando da un punto della sua orbita a quello diametralmente opposto non causava alcuna variazione nelle direzioni delle stelle.
Questo fatto indusse Copernico a ritenere che le distanze delle stelle devono essere grandissime e quindi l’angolo sotto cui è visto da una stella il diametro dell’orbita terrestre (cioè la parallasse annua) doveva essere piccolissimo e inaccessibile alle misure del suo tempo.
Copernico non poteva dare una dimostrazione della realtà del suo sistema perché non erano ancora conosciuti i fenomeni dell’aberrazione e delle oscillazioni pendolari.
Ticone Brahe, l’ultimo e più degno rappresentante dell’osservazione senza cannocchiale, fu un oppositore della teoria eliocentrica che riteneva inammissibile a causa della mancanza di una parallasse stellare.
La precisione delle sue osservazioni fu di grande importanza e preparò la strada al suo successore Kepler.
Quando Galileo incominciò le sue osservazioni col cannocchiale, poté provare scientificamente la validità del sistema Copernicano.
Il rilievo della Luna, la forma sferica dei pianeti, i quattro principali satelliti di Giove e lo studio dei loro movimenti che rivelano in quel complesso un sistema planetario in proporzioni minori e, prova decisiva, le fasi che mostravano al cannocchiale i due pianeti Venere e Mercurio con le quali veniva assodato matematicamente che i due pianeti interni dovevano muoversi intorno al Sole.
Kepler che fu dapprima collaboratore e poi successore di Ticone a Praga, dopo laboriosi e lunghi tentativi e calcoli giunse alle tre celebri leggi che portano il suo nome.
Per determinare la forma esatta delle orbite dei pianeti egli, non potendo osservare dalla Terra le posizioni e neanche le direzioni di nessuno dei pianeti, operò indirettamente come segue.
Ricordiamo intanto che la rivoluzione sinodica di un corpo celeste è il periodo intercorrente tra due identiche posizioni dell’astro e della Terra rispetto al Sole. Questo periodo lo indichiamo con S. Con T indichiamo il periodo di rivoluzione della Terra e con P l’analogo periodo di un pianeta.
Supponiamo che le orbite siano concentriche e complanari. Allora la velocità relativa della Terra rispetto al pianeta sarà la differenza delle velocità 1/T e 1/P rispetto al Sole. Quindi per un pianeta esterno avremo:
1/T – 1/P = 1/S e per un pianeta interno: 1/P – 1/T = 1/S.
Ora, mentre le rivoluzioni siderali sono costanti, per la rivoluzione sinodica occorre considerare la media relativa ad un lungo intervallo di tempo perché le orbite non sono né concentriche, né complanari, né circolari.
A questo punto Kepler poteva determinare P per un pianeta esterno mediante la seguente formula che segue facilmente dalla prima delle relazioni precedenti:
P = (S*t)/(S-T)
Il pianeta prescelto, con felice intuizione, fu Marte. Questo si avvicina molto alla Terra e ha un’orbita relativamente molto eccentrica e per questo aveva dato problemi in tutti i tempi e Ticone gli aveva dedicato una particolare attenzione accumulando un numero abbondantissimo di osservazioni.
La rivoluzione sinodica di Marte è di 2,135 anni e mediante la formula vista sopra si ottiene P = 1,881 anni. Quindi in due epoche a distanza di 1,881 anni il pianeta deve trovarsi nello stesso punto M della sua orbita (Fig. 3).
differenti A e B della sua orbita che Kepler suppose inizialmente, secondoIn queste epoche però la Terra si trova in due posizioni la teoria di Copernico, circolare e un poco eccentrica intorno al Sole.
Le due direzioni in cui era visto Marte dalla Terra, date mediante le coordinate sferiche, erano conosciute da Kepler dalle lunghe serie di osservazioni Ticoniane, o direttamente osservate in tali epoche, o facilmente interpolabili dalle epoche vicine. Il punto d’incontro tra queste due direzioni (M) fornisce una completa posizione eliocentrica di Marte, cioè la direzione spaziale e la distanza (riferita al raggio della orbita terrestre).
Le distanze SA e SB furono desunte provvisoriamente da Kepler dalla vecchia teoria delle orbite circolari eccentriche.
L’angolo ASB si ottiene per differenza delle longitudini del Sole gBS – gAS e gli angoli SAM e SBM analogamente dalla differenza delle longitudini osservate fra Marte e il Sole cioè SAM = gAS + gAM, SBM = 2p -(gBS + gBM).
Si hanno quindi tutti gli elementi per calcolare per via trigonometrica la distanza SM e la longitudine gSM di M.
Combinando con tale procedimento diverse coppie di punti di osservazione Kepler ottenne un certo numero di punti dell’orbita di Marte che tentò di controllare, specialmente nelle distanze dei punti dal Sole, mediante le formule fino allora usate del moto circolare eccentrico. Egli si accorse che i detti punti non erano rappresentati con la precisione che si aspettava e, visto che i risultati si discostavano dalle previsioni più di quanto potesse essere dovuto a errori delle osservazioni di Ticone, giunse alla conclusione che le orbite non potevano essere circolari.
Provando invece a calcolare le distanze con la formula che dà il raggio vettore di un’ellisse egli vide che i punti derivati dalle osservazioni si accordavano molto meglio con i calcoli. Inoltre confrontando le distanze tra i singoli punti coi tempi impiegati da Marte a percorrerle, trovò che la velocità del pianeta non era in tutti i punti la stessa.
Con ciò egli aveva scosso, senza alcuna assunzione ipotetica, il dogma millenario dei moti circolari uniformi.
Kepler ripeté tutto il procedimento assumendo per orbita della Terra, in
luogo del circolo eccentrico (che fortunatamente, per la piccola eccentricità dell’orbita reale della Terra, non aveva intralciato i primi risultati) un ellisse e, facendo varie prove circa la forma e la posizione di questa fino ad avere la migliore concordanza con le osservazioni, giunse così al seguente enunciato che è la I legge di Kepler:
Le orbite dei pianeti sono ellissi e il Sole ne occupa uno dei fuochi.
Ricordiamo che l’angolo v (fig. 4) dalla linea degli absidi al pianeta in R partendo dal perielio P e misurato in senso diretto (antiorario) da 0° a 360° si chiama anomalia vera e r è il raggio vettore.
Dall’equazione in coordinate ortogonali dell’ellisse si può facilmente ottenere l’equazione in coordinate polari col polo nel Sole e l’asse polare positivo diretto verso il perielio.
e=(c/a), e²=(a²-b²)/a², (x²/a²)+(y²/b²)=1
Per la trasformazione in coordinate polari e la traslazione abbiamo :
x – ea = r cos v; y = r sen v
[(r cos v + ea)²/a²]+[(r²sen²v)/1]=1
dopo alcuni passaggi abbiamo la seguente equazione di 2° grado in r :
(1 – e² cos² v)r² + 2ea cos v(1-e²)r – a² + 2e²a² – e4a² = 0
che risolta ci dà :
r=[a(1 – e²)]/(1 + e cos v)
che è detta equazione dell’orbita.
Kepler aveva trovato la legge delle aree prima di determinare l’esatta forma delle orbite.
Per studiare il moto esatto della terra egli considerava il pianeta Marte in diverse epoche, tutte distanti tra loro del tempo P (1,881 anni).
Quindi mentre il pianeta si troverà nello stesso punto M, la terra si trova nei punti T1,T2,T3….. ecc. tutti situati,(fig.5)
secondo la teoria antica, sopra un circolo eccentrico rispetto al Sole e tale che i tratti percorsi nel frattempo siano uguali.
Assunti per gli angoli T1SM, T2SM, … tra i raggi vettori della Terra e di Marte nelle dette epoche i valori risultanti dalle teorie Copernicane dei circoli eccentrici, egli conosceva nei triangoli ST1M, ST2M, ecc. tutti gli angoli in quanto ché gli angoli in T1,T2,… gli erano forniti direttamente dall’osservazione e quindi poteva calcolare i rapporti
T1S/SM, T2S/SM, …, Tn/SM
delle singole distanze della Terra dal Sole a quella di Marte dal Sole e da questi, infine i rapporti tra le singole distanze della terra dal Sole.
Così Kepler scoprì che il rapporto della distanza perielia e quella afelia della Terra non conduceva all’eccentricità dell’orbita conosciuta fino allora ma alla metà (0,017) perciò egli aveva trovato necessario introdurre l’equante anche per l’orbita della Terra in posizione simmetrica col Sole rispetto al centro del deferente. (fig. 6)
In tali condizioni i due angoli eliocentrici a e b saranno descritti in tempi uguali dal raggio vettore della Terra dato che i rispettivi archi di traiettoria ab e a’b’ corrispondono a uguali angoli in M centro del mot angolare uniforme.
Per l’eccentricità e =c/r si ha
(SP/SA=(MA/MP=(a’b’/ab)=(SA/SP)(b/a) e anche (r-c)/(r+c)=(1-e)/(1+e)=[(1+e)/(1-e)](b/a)
da cui, trascurando e² perché piccolissimo, segue:
(1/2)[(a-b)/(a+b)]
cioè effettivamente la metà dell’eccentricità determinata senza l’ipotesi dell’equante.
Ma nel moto così definito vale, intorno alla linea degli absidi AP, la cosiddetta legge delle aree, secondo la quale le aree descritte dal raggio vettore della Terra in tempi uguali sono equivalenti. Infatti dalle precedenti relazioni abbiamo:
(a/b)=(1+e)²/(1-e)²=(r+c)²/(r-c)²
Area Sab = (1/2)(r-c)²·a = (1/2)(r-c)²·[(r+c)²/(r-c)²·b = (1/2)(r+c)²·b = Area Sa’b’ .
Kepler estese questa legge a tutto il moto del circolo eccentrico e dopo aver trovato la vera forma dell’orbita verificò che la stessa legge delle aree veniva soddisfatta sull’ellisse e per tutti i pianeti.
III legge di Kepler
Kepler che ricercava un principio universale nel moto dei pianeti, perfezionando l’antica teoria dei poliedri regolari, cercava di inscrivere le orbite dei pianeti in poliedri in modo che queste fossero tangenti alle facce dei poliedri, vedendo in ciò un segno della perfezione divina.
Abbandonate queste vecchie idee e sapendo da Copernico che non solo le velocità angolari dei pianeti, ma anche quelle lineari decrescono con l’aumentare della distanza dei pianeti dal Sole, cosicché le durate di rivoluzione vanno crescendo con le distanze, tentò per via puramente empirica di trovare una dipendenza tra queste distanze e le velocità o le durate di rivoluzione.
Ma soltanto dieci anni dopo la scoperta delle prime due leggi (pubblicate nel 1609) trovò questa legge generale.
E’ la terza legge di Kepler :
I quadrati dei tempi di rivoluzione dei pianeti stanno tra loro nello stesso rapporto dei cubi delle rispettive distanze medie:
Consideriamo ora la seguente importante conseguenza della terza legge di Kepler.
Per orbite circolari l’accelerazione centripeta, come sappiamo, è:
ac= (V²/r)=(4p²r/P²)
e per la terza legge di Kepler
cioè le accelerazioni centripete di due pianeti qualsiasi sono inversamente proporzionali ai quadrati delle rispettive distanze dal Sole.
Un tentativo di ricondurre tutti i moti planetari ad un unica origine fu quello di Cartesio (1630) con la teoria dei vortici, secondo la quale il Sole e tutto il sistema planetario doveva trovarsi immerso in un mezzo fluido entro il quale il Sole e i pianeti dovevano generare con la loro rotazione dei vortici che mettevano in rotazione la materia fluida circostante fino alle parti più lontane e così la rotazione del Sole trascinava i pianeti a ruotare intorno ad esso e i pianeti trascinavano i satelliti.
Ma questa concezione era una pura ipotesi senza appoggio matematico e senza basi osservazionali.
Newton (1643 – 1727) partì dall’osservazione che sulla Terra tutti i corpi lasciati liberi si muovono verso il centro di questa sollecitati da una forza ugualmente diretta che non mostra variazioni apprezzabili dalla superficie del mare alle vette più alte dei monti.
Egli considerava lecito quindi, estendere l’azione della suddetta forza centrale terrestre fino alla distanza della Luna a trattenerla nella sua orbita quasi circolare intorno alla Terra. Il principio d’inerzia assicurava che la Luna continuasse nel suo moto di rotazione senza altra causa esterna e la conseguenza della terza legge di Kepler che abbiamo visto prima giustificava l’ipotesi che l’intensità di questa forza fosse decrescente col quadrato della distanza.
Per verificare questa ipotesi egli procedette come segue.
Se g è l’accelerazione di gravità, cioè della forza alla superficie della Terra, quindi alla distanza R dal centro della Terra; r la distanza della Luna dalla Terra e ac l’accelerazione della Luna (verso la Terra), si deve avere :
g : ac = r²: R² à g =(r²/R²)·ac
Ma abbiamo visto che ac = 4p²r/P²
Quindi supponendo circolare l’orbita della Luna; indicando con P il periodo siderale medio della Luna 27d7h43m12s
egli ottenne
g =4p²r³/ P²R²
che poteva confrontare col valore di g ricavato dalle osservazioni sulla Terra (9,8 m/s²). Il primo calcolo di Newton, fatto nel 1666, condusse a un disaccordo, avendo egli assunto per R il valore di 5250 Km, allora adottato e, intuendo che il risultato sfavorevole doveva dipendere dalla scarsa precisione del valore ora detto, decise di abbandonare questa via in attesa di dati migliori.
Inventato quello che oggi è il calcolo differenziale e integrale egli, conoscendo già per via geometrica e quindi approssimata, la conseguenza della legge delle aree secondo la quale la forza doveva essere sempre diretta verso il Sole e conoscendo la legge della variazione di questa forza con la distanza per orbite circolari, dimostrò che queste due proprietà sono rigorosamente soddisfatte anche per le orbite ellittiche.
Per la prima consideriamo un settore infinitesimo dA dell’orbita di un pianeta (fig. 7)
descritto in un tempo dt i cui lati saranno r e r+dr, mentre l’angolo racchiuso sarà dv.
L’area sarà dA = 1/2 r(r+dr)sen dv e quindi, a meno di infinitesimi di ordine superiore dA = 1/2 r²dv.
Cosicché la 2ª legge di Kepler può essere espressa nella forma r²dv/dt = a,
con a = costante.
Indichiamo da ora con v^ = dv/dt e v ^^=d²v/dt²
Derivando la precedente relazione rispetto al tempo si ottiene, dividendo
per r,
2rv ^^+ rv^^ = 0
Si vede che questa espressione ha le dimensioni di un’accelerazione lineare, ma per comprenderne meglio il significato facciamo un accenno allo studio del problema dei due corpi.
Dati due corpi di massa complessiva M soggetti soltanto alla loro mutua attrazione gravitazionale, si può dimostrare che si muoveranno l’uno verso l’altro con traiettoria rettilinea se partono dallo stato di quiete e con una traiettoria piana (parabolica, ellittica o iperbolica),se partono da uno stato di moto relativo rettilineo uniforme.
Le equazioni del moto rispetto a uno dei due corpi sono le seguenti :
X^^= – GM(X/r³)
Le equazioni del moto si ottengono ricordando che
r²=X²+Y² mX^^ = F cos q , cos q = X/r
Y^^= – GM(Y/r³) mY^^= F sen q , sen q = Y/r
Trasformando in coordinate polari abbiamo X = r cos q, Y = r sen q.
Derivando queste relazioni due volte rispetto al tempo e sostituendo nelle equazioni del moto si ottengono due equazioni che, moltiplicate dapprima rispettivamente per cos q e sen q e sommate, e poi per – sen q e cos q e sommate, danno le seguenti due equazioni differenziali in coordinate polari:
r – rq² = -GM/r² , r q + 2r q = 0
che ci fanno vedere come la componente radiale dell’accelerazione dipenda direttamente dalla massa complessiva e inversamente dal quadrato della distanza mentre la componente trasversale è nulla.
La 2ª legge di Kepler quindi implica che la componente trasversale della accelerazione nel moto orbitale sia nulla.
ar = r – rv² ; at = 2r v + r v
L’accelerazione e quindi anche la forza è puramente radiale, cioè diretta sempre al Sole.
La seconda proprietà, cioè il decrescere della forza col quadrato della distanza nelle orbite Kepleriane, si ottiene anche combinando opportunamente l’espressione dell’accelerazione radiale ar con l’equazione dell’orbita nelle stesse coordinate polari :
r = P/(1+e cos v) [ p = a·(1-e²)]
r =(e/p) r²v sen v =(ea/p) sen v , r =(ea/p) v cos v = ( a²/p)(1/r²)e cos v
e perciò ar = (1/r²)[(a²/p) e cos v – (a²/r)]= (a²/p)(1/r²)·[e cos v- (P/r)]=-( a²/p)(1/r²)
L’accelerazione e quindi la forza è inversamente proporzionale al quadrato della distanza ( essendo a e p costanti) e diretta verso il Sole (segno -).
Dopo quasi 20 anni, Newton disponendo di un valore più esatto di R (raggio terrestre) ripeté il calcolo di g ottenendo un perfetto accordo fra il valore calcolato e quello misurato.
Questo brillante risultato, secondo il quale dunque la forza che fa cadere i corpi sulla superficie della Terra è anche quella che agisce sulla Luna obbligandola a descrivere la sua orbita intorno alla Terra, dava a questa forza un carattere di universalità, in quanto ché faceva vedere che essa emanava non solo dal Sole regolando il moto dei pianeti, ma anche dallaTerra, regolando il moto della Luna, sempre essendo inversamente proporzionale al quadrato della distanza.
Occorreva infine stabilire il significato o un’espressione più precisa per il coefficiente di proporzionalità per avere la relazione completa per la forza attrattiva.
Confrontando il moto della Terra intorno al Sole e quello della Luna intorno alla Terra, Newton si accorse che la forza che dal Sole agiva sulla Terra doveva essere molto più intensa di quella che dalla Terra agiva sulla Luna.
Infatti l’accelerazione aT della Terra (dovuta al Sole) e quella della Luna aL (dovuta alla Terra) nelle rispettive orbite anche supposte circolari sono con sufficiente esattezza:
aT =( 4p²D/P²T ); aL = (4p²r/P²L );
con D,r,PT e PL le rispettive distanze e periodi di rivoluzione.
Da queste segue dapprima : aT =(D/r)(P²L ·/P²L)·aL
e se la Terra si immagina alla distanza r dal Sole (dunque alla stessa distanza della Luna dalla Terra), si ha per l’accelerazione a0 a tale distanza, avendosi a0 : aT = D²:r²
a0 =(D/r)³·(PL / PT)²·aL
Ora, si ha in cifre tonde D = 390·r , PT = 13,37·PL , per cui fatti i calcoli risulta a0 = 33000·aL , dunque per l’attrazione del Sole sulla Terra un’accelerazione enormemente superiore a quella della attrazione analoga della Terra sulla Luna.
Ciò giustifica pienamente la supposizione di Newton che la massa dei corpi debba entrare ad avere una importanza fondamentale nell’espressione della forza e giustifica l’enunciato provvisorio, ma poi diventato definitivo per le numerosissime conferme ricevute dall’applicazione, della legge dell’attrazione universale nella forma:
Due punti materiali qualunque si attraggono a vicenda con una forza direttamente proporzionale alle due masse ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza reciproca.
F = G (M1M2/ R²)
Il primo enunciato di questa legge fu dato da Newton alla Royal Society di Londra nell’agosto del 1684 e qualche anno dopo, nel 1687, venne la sua opera monumentale Philosophiae naturalis principia mathematica.